Molti degli iscritti all’Albo degli Ingegneri di Roma sentono il proprio Ordine distante dalle proprie esigenze, Think-Ing prova a dare una risposta.
L’Ordine professionale dovrebbe garantire la qualità delle prestazioni professionali, pronunciarsi sui corrispettivi professionali, coordinare attività formative, e fornire servizi ai suoi iscritti. Eppure è percezione comune come a Roma quest’organo appaia sempre più distante dai propri iscritti, e in generale dagli ingegneri (anche quelli non iscritti). Questo sentimento fa crescere ogni giorno di più, adesso più che in passato, l’esigenza di una risposta: quale senso ha, in queste condizioni, essere iscritti all’ordine professionale, pagare annualmente una quota per essere partecipanti passivi di una Istituzione che non riesce a creare uno spirito di comunità, ne’ a generare valore per i propri iscritti (o almeno non per tutti)?
… quale senso ha, in queste condizioni, essere iscritti all’ordine professionale, pagare annualmente una quota per essere partecipanti passivi …
Tale sentimento risulta presente nella quotidianità di tanti di noi iscritti, ma emerge con ancora maggiore (e triste) evidenza se si analizza l’esigua percentuale di partecipazione degli iscritti alle passate elezioni per il consiglio dell’Ordine (meno del 20%). Inoltre tali elezioni hanno intercettato, pur nella legittimità delle procedure, limitati segmenti di iscritti (per lo più concentrati tra “quelli che timbrano”, professionisti nel campo civile e impiantistico). Se a questo aggiungiamo che la lista vincente nelle ultime elezioni del 2017 ha raccolto 2.275 voti su 3.800 votanti (a fronte di oltre 23.000 iscritti aventi diritto al voto), risulta più che evidente che rimanere inermi davanti a questa deriva non potrà che alimentare le circostanze per cui pochi continueranno a decidere per tutti e soprattutto che tutti continueranno a pagare per pochi.
Vogliamo parlare di numeri?
Allo stato attuale, gli oltre 23.000 iscritti dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, il più grande d’Italia, sono suddivisi nei seguenti segmenti divisi tra dipendenti e liberi professionisti:

Con questo genere di “assortimento”, risulta evidente come i colleghi dipendenti abbiano (anzi debbano avere) un peso all’interno della comunità degli ingegneri proporzionato alla propria presenza (e contributo) e che debbano essere correttamente rappresentate anche apparenti “minoranze” che sono portatrici di significative competenze di cui l’intera società ci è debitrice (pensiamo al campo informatico, biomedico, gestionale, accademico, ecc.).
L’attuale Consiglio è da più di 9 anni al governo dell’Ordine, dimostrando incapacità strategica oltre che organizzativa
Se dal tema della rappresentatività poi passiamo a quello della disponibilità e accessibilità dei servizi erogati, la situazione è ancora più cupa. Gran parte degli ingegneri non si sentono rappresentati dall’attuale Consiglio dell’Ordine e vivono la loro appartenenza all’Albo come degli outsider, che per far parte del meccanismo (che dovrebbe essere aperto a tutti) devono affrontare un vero e proprio percorso a ostacoli, un percorso frustrante, soprattutto per i più giovani. Un sistema obsoleto, per certi versi medievale, che non consente agli ingegneri di usufruire appieno delle potenzialità della propria rappresentanza. Come è possibile accettare questa qualità di servizi erogati, soprattutto considerando che l’Ordine di Roma, avendo circa 23.000 iscritti, ha a disposizione un budget tra i più ricchi d’Europa?
La risposta è davanti a noi.
L’Ordine di Roma, negli anni, si è consolidato come custode dello status quo e la sua incapacità di r-innovarsi ha fatto in modo che solo in pochi fossero realmente in grado di beneficiare dell’istituzione. L’attuale Consiglio è da più di 9 anni al governo dell’Ordine, dimostrando incapacità strategica oltre che organizzativa, rimandando di un anno e mezzo la fine del proprio mandato, benché nelle medesime condizioni altri Ordini (ad esempio l’Ordine di Napoli, il secondo in Italia per numero di iscritti) abbiano deciso di far votare ugualmente i propri iscritti alla scadenza naturale del mandato. Riteniamo che 9 anni sia un tempo più che sufficiente per poter dimostrare di avere (o meno) le capacità (e la volontà) di offrire le necessarie risposte ai propri iscritti e che sia un tempo altrettanto sufficiente affinché gli iscritti possano cambiare idea!